IL CASTELLO DI CUVIO
LE PERGAMENE MEDIEVALI CHE LO CITANO di GIORGIO RONCARI
I DOCUMENTI
Molti dei nostri paesi,
in epoca medioevale, possedevano un castello o torrione, qualcuno citato nelle
pergamene dell’epoca e che presenta ancora qualche rudere, altri ricordati
ancor oggi dalla toponomastica locale sia nello stradario che nella tradizione
orale come Arcumeggia, Brenta, Cuveglio, Cavona, Cassano, Brissago, Mesenzana,
Voldomino Masciago, Ferrera, Cunardo, Orino, Cabiaglio, Gemonio, Trevisago,
Laveno, Mombello, Caldè e altri.
Anche Cuvio aveva il suo e lo
sappiamo perché viene citato più volte in carte medioevali del XII secolo. Pergamene
che andiamo a conoscere, interpretare e spiegarne un poco il contenuto.
1) “Anno ab incarnacione domini
nostri Iesu Christi millesimo centesimo vigesimo, mensi martii, indicione
terciadecima…” così comincia un atto del marzo
1120 conservato
nell’Archivio Storico Milano,
dove viene riportata una donazione di beni siti a
Biasca e Claro (ora Canton Ticino), fatta da Berlinda, Imulda e Odda, mogli dei
figli di Ardizzone di Samarate di legge longobarda, col permesso dei rispettivi
mariti e del suocero, alla chiesa maggiore milanese rappresentata dai chierici Tedaldo
e Arderico in vece dell’arciprete Olrico e del primicero Nazario. Ne ricevevano
come ‘launegildo’ un martello.[1]
Qualche chiarimento prima di continuare è di riguardo
per capire come andavano le cose allora. L’indizione era un sistema
antico restato in uso per secoli per contare gli anni che arrivava alla
quindicesima per poi ripartire da capo, con la differenza che l’inizio dell’anno
indizionale veniva anticipato a Natale. Serviva soprattutto come termine di comparazione
per stabilire l’esatta data e autenticità di un documento in un calendario
ancora non del tutto omologo.
Col termine di legge longobarda
si precisava che i personaggi in questione erano longobardi e seguivano i
propri codici sebbene si era nell’Età dei Comuni e questo perché i Franchi
quando conquistarono L'Italia, non imposero ai precedenti abitatori di seguire
la loro legge Salica. Insomma i due ordinamenti legislativi ancora convivevano.
Il launegildo, nel diritto longobardo, era un compenso simbolico dal
momento che quel popolo non concepiva la donazione sic e simpliciter.
I due chierici nominati erano importanti prelati della Curia milanese ed ancor più lo
erano le due
personalità che rappresentavano: Nazario era il superiore dei Decumani, un ordine
ecclesiastico del Duomo e Olrico il braccio destro dell’Arcivescovo Giordano da Clivio al quale
successe nel novembre dello stesso anno, intronizzato, ossia fatto
sedere simbolicamente sul trono, dallo stesso Nazario.
L’importanza e l’interesse di questa pergamena per la nostra storia, sta nelle annotazioni
finali quando, in calce, vengono vergate testuali parole: “Actum
ante porta castri de loco Cuvio.” Ossia ‘atto stilato davanti alla porta
del castello di Cuvio’.
Fino ad ora questo è il primo
documento che parla del Castello di Cuvio, cosa che ci conferma la sua origine
più vecchia.
2) “Anno domini
incarnacionis millesimo centesimo septuagesimo sesto, mensi martii,
indicione terciadecima…” in questo secondo documento del 6 marzo
1176, due mesi prima della battaglia di Legnano, anch’esso conservato
nell’Archivio Storico Milano, si tratta sempre di una donazione stavolta a
favore del prevosto di Canonica, Giordano da Olgiate, fatta da Arnaldo di
Vergobbio del fu Arduino, con il consenso dei fratelli Ottacio e Cabialius, di
un bosco in territorio di Cuveglio e delle prerogative del ‘manso di S.
Fedele’ con tutte le sue pertinenze e vincoli meno i lavori di difesa fatti
al “castrum de Cuvi” che rimangono a carico di Arnaldo. Testimoni
Soldano di Orino e Guicciardo, Filippo e Ruggero dei Capitani di Cuvio[2].
Il manso era un
insieme di prati o terreni di solito con un’abitazione, che il signore o il
proprietario dava in affitto ai massari o coloni che avevano l'obbligo di
devolvere una parte del raccolto al signore o, in alternativa, prestare a lui
servizio. Una famiglia contadina dell’epoca, lavorando un manso riusciva
mantenersi discretamente assieme ai loro braccianti. Non siamo però in grado di
individuare dove si trovasse a Cuveglio il manso di S. Fedele in oggetto.
3) “Anno domini
incarnacionis milleximo centeximo nonageximo septimo, decimo kallendas
decembris indicione prima…” una terza pergamena datata all’antica che
sarebbe il 22 novembre 1197, sempre
conservata nell’Archivio Storico di Milano, riporta la vendita fatta da Girardo
de Cuvio abitante in Vergobbio e suo figlio Girardo, entrambi di legge
longobarda, al prevosto Giordano de Olgiate, per 54 lire milanesi (una cifra considerevole)
di tutto ciò che posseggono in territorio di Cuvio, terre, pascoli, mulini, benefici,
fodro, banno, decima, obblighi, onori, e la loro parte del “castro seu
turris”, ovvero castello o torre’.
[3]
Il ‘fodro’, il ‘banno’ e la ‘decima’,
in maniera succinta, erano vincoli imposti dai signori locali ai loro sudditi: il
primo era un tributo in natura; il secondo il diritto di ordinare ai sudditi corvées,
ossia lavori non retribuiti per i bisogni del castello e di riscuotere gabelle
per la sua difesa militare; la terza, era una tassa in cui veniva versata la
decima parte del raccolto.
4) Un altro documento del 1217
registrato stavolta su un Obituario, ossia un libro dei morti e dei loro
lasciti, della Plebana di Cuvio, nomina “Iacobus de
Castellaccio de Cuvio” morto quell’anno, che lasciava alla Chiesa di S.
Lorenzo di Canonica un prato detto in Novello e una selva sopra Novello.[4]
Erano, queste donazioni, di
solito legate a qualche messa per l’anima del defunto perché nessuno si sentiva
scevro da peccati. Il Novello era un prato al limitare del paese dove inizia la
salita verso Comacchio, sulla sinistra, ancora oggi così conosciuto.
Contrariamente a quanto si è tenuti a credere, nel Medioevo, anche
se non era facile reperire la costosa cartapecora, le penne e l’inchiostro, tutto
quanto riguardava compravendite, donazioni, eredità, atti ufficiali, condanne, ingiunzioni,
ogni cosa veniva scritta da un notaio in maniera precisa con tanto di testimoni
e la località dove l’atto era stato redatto, non scappava nulla; chiaro usando in
latino.
Certo si tratta di andarli a cercare questi documenti,
trovarli e trascriverli, e lì è un’altra cosa. Noi ci siamo basati soprattutto
sulla ricerca di Giancarlo Peregalli e Don Annino Ronchini, medioevalisti e
anche archivista il primo, che queste ed altre numerose pergamene hanno
pazientemente studiato, trascritto e pubblicato.
Da quelle carte si desume che,
in quel secolo, le casate nobili più importanti del paese dovevano essere in
primis i de Capitani, feudatari del Vescovo di Como, e poi i de Cuvio, che
ricoprirono anche la carica di Consoli, famiglie, se interpretiamo bene,
proprietarie del castello. L’ultima di queste pergamene ci dice poi che i de
Cuvio vendettero la loro parte del maniero coi tutti i benefici al Capitolo
della Chiesa Plebana di Canonica.
DOV’ERA IL CASTELLO E CHE
FINE FECE
Ma il castello di Cuvio dove
era?
Non è poi così difficile
individuare dove sorgesse; era situato su quello sperone di roccia adiacente al
Ronchetto, nel rione di Vico, e nei prati contigui ancora oggi detti “Castello”.
È probabile che sullo sperone di roccia che domina la valle sorgesse una torre
di guardia; del resto è ancora popolarmente detta “Turascia”, torraccia,
e presenta contrafforti in muratura; mentre il castello vero e proprio fosse nei
prati prospicenti verso la motta del ‘Lesc’ e il prato detto Fontanella,
il tutto cinto da mura difensive.
La ‘Turascia’, in località
Ronchetto di Vico, dove sorgeva il castello di Cuvio
La sua importanza declinò, così come quasi tutti i castelli
medioevali, quando, nel XIV secolo, furono ideate e messe a punto le armi da
fuoco come schioppi, granate e colubrine, strumenti bellici ben più potenti, i
cui proiettili erano in grado di fare larghe brecce nelle mura di cinta.
Sorsero allora le rocche, manieri costruiti in forma più massiccia e resistente.
Con questi presupposti è molto
probabile che il castello di Cuvio, nei secoli non più funzionale, sia stato, come
i suoi consimili, in qualche modo trascurato, lasciato diroccare, però è anche
da ricordare come Mons. Feliciano Ninguarda, primo vescovo di Como a visitare
la sua diocesi, nel 1592 venne in Valcuvia, e mentre i vari paesi li indicava
come semplici “pagus”, Cuvio lo definiva più pomposamente “offidum”
ossia ‘castello’, e chissà se si riferiva al nostro castello in questione.[5]
Si può anche supporre che sia
stato demolito dagli svizzeri, i quali per rifarsi dell’aiuto dato al Ducato di
Milano contro i francesi e non essere stati pagati, nel 1512 occuparono il
Canton Ticino, la Valtravaglia e la Valcuvia e per questioni di sicurezza vi abbatterono
vari fortilizi. C’è da dire, però, che erano manieri di importanza maggiore del
nostro e, per le conoscenze che abbiamo, nessun castello venne abbattuto in
Valcuvia, nemmeno la Rocca di Orino. Nelle nostre valli, fino a documenti
contrari, è comprovato che subì questa sorte la sola rocca di Travaglia,
situata a Caldè, ma perché un contingente di armati dei feudatari Rusca si
oppose agli svizzeri.[6]
Riteniamo quindi, riprendendo
quanto già ipotizzato, che questo nostro castello, ridotto
a vestigia per incuranza o magari a seguito di qualche scaramuccia, sia stato
smantellato nei secoli, vista la sua sopraggiunta inutilità e inefficienza, e i
sassi ed il materiale, sempre di difficile reperibilità, usati per costruire
altre abitazioni. Stessa fine che probabilmente fecero i già ricordati manieri dei
nostri paesi. Fa eccezione Orino che ancora conserva il suo bel castello o
rocca come comunemente è chiamata. --------------
NOTE
[1] Originale conservato in Archivio Storico Milano,
F.R.p.a. cart 2016 fasc VI, n 2, ‘Cartula promissionis’.
[2] Pergamena riportata da Peregalli Giancarlo – Ronchini
Don Annino in “L’archivio della chiesa plebana di S. Lorenzo in Cuvio” vol 1, p
6-7, ‘Carta finis e dati’.
[3] Pergamena riportata da Peregalli Giancarlo – Ronchini
Don Annino in “L’archivio della chiesa plebana di S. Lorenzo in Cuvio” vol 1, p
30-32, ‘Carta vendicione.
[4] Documento pubblicato da don Rinaldo Beretta, profondo
studioso di documenti medioevali, sul fascicolo VII della ‘Rivista Storica
Varesina’ dicembre 1962 col titolo: “Un obituario della Collegiata di S.
Lorenzo di Cuvio”.
[5] “Atti della visita pastorale diocesana di Feliciano
Ninguarda, Vescovo di Como (1589 – 1593) ordinati ed annotati dal Sac. Dott.
Santo Monti e pubblicati per cura della Società Storica Comense negli anni
1912-1918”, p 199.
[6] Una approfondita ricerca in merito all’occupazione
svizzera in Valcuvia è stata pubblicata da Arrigoni Virgilio e Pozzi Gianni dal
titolo “L’occupazione elvetica della Valcuvia nel XVI secolo” apparsa su
‘Verbanus’ n 15, 1994, Alberti editore, pp 277-293.
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