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L'INUTILE STRAGE

L’INUTILE STRAGE

LA GRANDE GUERRA

La catastrofica prima guerra mondiale ebbe come miccia l'assassinio dell'erede al trono austro-ungarico, Francesco Ferdinando, e della moglie Sofia, avvenuto il 28 giugno 1914 a Sarajevo per mano del nazionalista serbo-bosniaco Gavrilo Princip, ma le cause fondamentali vanno ricercate nelle contrastanti mire imperialistiche degli stati europei, nell’esasperato nazionalismo, nella sfrenata corsa agli armamenti e nelle spinte belliciste che da tempo avevano reso tesi i rapporti fra le grandi potenze, contrapposte in blocchi dall’alleanze.
Il 23 luglio 1914 l’Austria-Ungheria presentò l’ultimatum alla Serbia.
Quella che poteva essere una crisi locale degenerò invece, per questioni di alleanze e convenienze, in un conflitto generale per le decisioni scioviniste e guerrafondaie prese da governanti e comandanti militari. Nei giorni successivi Russia, Francia e Belgio con le loro colonie, Regno Unito coi suoi domini, Montenegro e Giappone si schierarono a fianco della Serbia, mentre Germania, Turchia e Bulgaria affiancarono l’Austria. Migliaia e migliaia di emigrati italiani furono costretti a ritornare ai loro paesi, causando una profonda crisi e una forte disoccupazione.
Il protrarsi del conflitto, sbandierato da tutti i governi come ‘guerra lampo’, fece sì che altre nazioni prendessero posizione a favore degli alleati: l’Italia nel ‘15, il Portogallo e la Romania nel ’16, nel ’17 Grecia, Siam, Brasile e soprattutto gli Stati Uniti che traineranno una decina di stati americani, fecendo diventare la guerra di portata mondiale tanto da venir definita ‘Grande Guerra’.
L’Italia, da poco uscita dal conflitto di Libia, si era trovata in una posizone difficile e ambigua: rimanere neutrale o entrare in guerra e, nell’eventualità, a fianco di Austria e Germania con le quali esisteva un trattato di alleanza in caso di aggressione, o con gli alleati per liberare le terre irredente di Trento e Trieste, vecchio sogno risorgimentale, dov’erano allineati i più. Su queste posizioni si era accesa una lotta politica in un clima sempre più rovente che scatenò numerose manifestazioni di piazza con vari morti.
Interventista fu da subito la maggior parte dei conservatori, mentre i cattolici e i moderati risultarono divisi. Neutralisti erano invece i progressisti e i socialisti ma con alcune importanti eccezioni prima fra tutte quella di Benito Mussolini, direttore del ’Avanti!’ che tenne a Varese, nel dicembre del ’14, un comizio per sostenere la guerra contro Austria e Germania, così come aveva fatto in ottobre l’irredentista trentino Cesare Battisti. Anche a Varese e a Luino, nel maggio del ’15 si accesero due manifestazioni pro irredentisti.
L'Austria, nel tentativo di mantenere l'Italia neutrale, offrì il Trentino e la Venezia Giulia con Trento e Trieste - più o meno quello che otterrà dal Trattato di Versailles nel '19 - ma la classe dirigente che governava l’Italia con il Re Vittorio Emanuele III in primis, ruppero gli indugi dichiarando guerra all’Austria il 24 maggio 1918. Intere divisioni vennero schierate lungo l’arco ‘Lago di Garda-Cadore-Carnia-Gorizia’.
In Valcuvia la guerra fu vissuta come una realtà lontana ma stringente. Partirono per il fronte migliaia di giovani: contadini, operai, benestanti, parroci, sindaci e finanche il pretore di Cuvio, avvocato D’Angelo. Le famiglie si svuotarono ed eclatante fu il caso dei cinque fratelli Damia di Duno, tutti in guerra. Sorsero nei vari comuni ‘Comitati pro richiamati’, il primo già in maggio a Cuvio, al fine di raccogliere fondi e aiuti per i militari. Con sermoni grondanti enfasi e articoli accorati e toccanti, dai giornali si invitavano le donne a lavorare la lana preparando indumenti da inviare ai soldati in previsione dell’inverno. La ‘Cronaca Prealpina’ prese a pubblicare lettere dal fronte in cui venivano date notizie e saluti dei soldati e riportati i primi caduti sul ‘campo dell’onore’.
Anche la Valcuvia cominciò presto a piangere i suoi caduti; ai primi di luglio infatti il caporal magg. Luigi Felli di Casalzuigno “…mandato in espolorazione a capo di una compagnia, il 3 luglio - riferiva la ‘Cronaca Prealpina’ - cadde ferito e da allora nessuna notizia certa si ha di lui.” Senonchè il 12 luglio arrivò in paese la conferma della sua morte. Sarà il primo di una lunghissima serie.
I primi due caduti di Cuvio furono Giovanni Porrini e Cappia Pasquale, morti a due giorni di distanza a fine agosto del ’15, a seguito della seconda battaglia dell’Isonzo. Il Cappia verrà insignito di medaglia d’argento mentre, nella primavera del ’18, sul Tonale morirà anche il fratello del Porrini, Enrico.
A Cuvio partirono più di centotrenta coscritti, come ricordato dal quadro celebrativo conservato in municipio. Camillo Maggi ebbe quattro figli al fronte e, nella speranza di rivederli, fece collocare nel giardinetto di casa sua la statua a grandezza naturale, opera di Eugenio Bajoni, di un fante con la mano alla fronte come a scrutare sulla strada di casa, il loro ritorno. Ritornarono tutti e poi uno di loro, Gino, nel ’74 donerà la statua che ora è il monumento ai caduti nella piazza IV Novembre.
Quando la guerra terminò, nel ’18, furono stimate circa 17 milioni di vittime, di cui 7 milioni civili. L’Italia ebbe 1.240.000 tra morti e dispersi di cui 650.000 militari ai quali furono dedicati una serie di cimiteri di guerra, primi fra tutti il Vittoriale del Milite Ignoto a Roma e il Sacrario di Redipuglia con 100.000 salme.
La Valcuvia che contava una popolazione di circa 13.500 abitanti, dovette piangere oltre 300 caduti, senza contare i morti di spagnola che imperversò in tutta Europa nel ’18 – ’19.
Lo scorso anno nell’ambito del centenario, il Ministero dell’Intermo ha richiesto un elenco dei caduti di Cuvio. Ufficialmente sulla lapide ne erano stati ricordati sedici, ma da una più precisa ricerca, possiamo affermare che furono venti.


 

Giorgio Roncari
(giorgio.roncari@virgilio.it)
 

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