OTTOBRE 1917: LA RIVOLUZIONE RUSSA
Il Sindaco di Cuvio, Emilio Fano, nella Siberia in fiamme. Ricerca storica di Giorgio Roncari
Nell’ottobre del 1917, in Russia, scoppiò la rivoluzione che stravolse il paese. Davanti alle vittorie dell’Armata Rossa, la primavera dell’anno dopo, alcune nazioni occidentali (USA, Inghilterra, Francia), assieme a Giappone e Cina, inviarono contingenti a sostegno delle truppe bianche filo zariste dell’ammiraglio Alexandre Kolciak attestate nella Siberia. Nell'estate successiva anche l’Italia decise di mandare un piccolo corpo di spedizione nella certezza di un vantaggio politico al tavolo della pace. Fra i vari corpi vennero reclutati circa settecento soldati. Si disse fossero quasi tutti volontari ma, a parte una sessantina di diciottenni, non fu così.
Il ‘Corpo di Spedizione Italiano in Estremo Oriente’ era agli ordini del Ten. Col. Fassini-Camossi. Siccome i reparti avevano le mostrine nere ben presto vennero battezzati ‘Battaglioni Neri’. Fra gli ufficiali, vi era il Capitano di fanteria Emilio Fano, sindaco di Cuvio e, nella vita civile, avvocato a Milano. Allo scoppio della Grande Guerra, aveva trentatre anni e partì volontario rinunciato all’incarico di sindaco. Nel settembre del 1916 combatté sul Carso, a ‘Quota 144’, rimanendo l’unico ufficiale superstite; il 22 maggio 1917 venne ferito sul piano di Asiago. Guarito, ritornò al fronte, a Capo Sile, e quindi venne chiamato a Napoli dove gli fu ingiunto di partire per l’Estremo Oriente, “quale Capitano addetto al Comando per la parte legale della spedizione". Di quell’avventura in Russia, terrà un diario giornaliero (un corposo dattiloscritto di 466 pagine, conservato dal nipote omonimo Emilio Fano) fonte di documentazione da parte di Gaetano Bazzani per scrivere la storia di quell’episodio di guerra rimasto poco conosciuto.[1] Fra la truppa vie era un altro valcuviano: il sergente Giuseppe Cellina di Cittiglio.
Da Napoli, il 26 luglio 1918, salpò per la Cina il piroscafo ‘Roma’ con circa metà della truppa che fu integrata a Massaua da reparti coloniali.
Il Capt. Fano fu imbarcato invece sul vapore ‘Tolemaide’, assieme a 13 ufficiali che partì solo il 28 agosto. Due mesi durò il viaggio e innumerevoli furono gli scali: Messina (30/8), Siracusa (31/8), Malta (6/9), Porto Said (16/9), Suez (19/9), Colombo (2/10), Singapore (8/10), Hong Kong (16/10) dove incontrò la missionaria delle Canossiane, suor Gina Roncari figlia di un industriale cotoniero di Besozzo, Canton (17/10) e Shangai dove arrivarono il 22 ottobre ed il giorno dopo vennero festeggiati dal Consolato italiano. Da Shangai il viaggio proseguì in treno per Tientsin dove l’Italia aveva una Concessione Territoriale con Consolato e caserma e tutte le strade portavano nomi italiani.
A Tientsin, dove ebbe modo di conoscere l’impresario Egidio Marzoli di Varese, si trovavano circa ottocento ex internati trentini, ”…ex militari dell'esercito austriaco caduti prigionieri o resisi disertori - così annotava Fano - che hanno costituito gruppi di volontari italiani”. Si trattava di un contingente dei 4.000 trentini, giuliani, istriani e dalmati che, in qualità di sudditi dell’Austria, erano stati considerati nemici dalla Russia e che, dopo l’armistizio dei sovietici, una missione italiana guidata dal Magg. dei Carabinieri, Marco Cosma Manera, aveva faticosamente recuperato nei vari campi di prigionia della sconfinata Russia, a condizione che si dichiarassero italiani irredenti. Con una decisione alquanto anomala, questi irredenti di Tientsin vennero arruolati nei ‘Battaglioni Neri’ portando il numero a circa 1.500.
Il 30 ottobre il Capt. Fano arrivò a Changehun dove trovò la sua compagnia. Il 7 novembre, partirono per la zona d’operazione. Dopo due settimane di treno sulla Transiberiana, passando da Vladivostok e Irkutsk, il 21 arrivarono a Krasnojarsk, città della Siberia sul fiume Jenisej, dove vi era una colonna di 1.800 cechi, anch’essi ex soldati dell’Impero Asburgico che non erano riusciti a rientrare, reparti di Serbi rissosi, anch’essi nelle stesse condizioni e 3.400 russi bianchi di Kolciak.
Il rigido inverno siberiano (il 27 gennaio ‘19 vennero toccati –52°) non permise azioni di guerra, ugualmente agli italiani venne affidato un campo di concentramento con 10.000 prigionieri. Dalla lontana Europa arrivavano comunque gli echi della guerra, dell’armistizio e della presa di Fiume da parte di Dannunzio.
Con l’arrivo della primavera del ‘19, le truppe rivoluzionarie, forti in quella zona di seimila uomini comandati da Yustùnkyn, cominciarono ad assaltare la ferrovia transiberiana e ad attaccare le retrovie dell’esercito zarista. Si trattava di una guerriglia spietata per bande, fatta di massacri sistematici, fucilazioni di massa e violentissime rappresaglie. Anche le forze alleate non fuggirono a tali inumane crudeltà: un ufficiale ceco catturato dai bolscevichi, venne inchiodato con tre lunghi chiodi per spalla ad un albero e finito con un chiodo in testa; un giapponese fu inchiodato trapassandogli il cervello.
L’azione degli italiani cominciò il 15 maggio, quando, divisi in due colonne, assieme a cechi e russi, vennero inviati per scacciare le bande rosse che assediavano la transiberiana ad est di Krasnojarsk. Il Capt. Fano con la sua compagnia e un reparto di cechi fungeva da avanguardia della seconda colonna.
La prima colonna trovò una discreta resistenza e dovette combattere il nemico più volte prima di venirne a capo. Due soldati annegarono nel fiume Mana e uno non verrà ritrovato.
La seconda invece, ancor prima di arrivare sul luogo delle operazioni, subì un sabotaggio al treno che deragliò causando fortunatamente solo quattro feriti. Scesi a Kliukvènnaia, percorsero la taiga dove erano stati segnalati i Rossi coi quali ingaggiarono battaglia la sera del 17 maggio nel villaggio di Semenòfskoie.
Il nemico sparava da una collina antistante il paese, ed il Capt. Fano con i suoi uomini, sotto una leggera pioggia, prese a risalirla “…vincendo gli ostacoli mentre la fucileria nemica si faceva sempre più viva. Raggiunto il ciglio con una breve avanzata a sbalzi, sentendo tutti i suoi uomini a portata di comando, diede l’«Avanti Savoia!», che ripetuto dai fanti con entusiasmo, li mise a passo di corsa per battere e fugare il nemico. - Così, con la retorica del tempo, è revocato l’episodio nel libro di Bazzani - Pagliai e baracche, da alcune delle quali uscivano colpi di fucile, vennero dalle nostre truppe fatte bersaglio di bombe a mano e poi incendiate; il terreno veniva spazzato e sulla sommità della collina la fanteria italiana si affermava padrona... Intelligente e ardita insieme fu la condotta del Catp. Fano, encomiabile il coraggio del soldato Barbi che, spintosi fra i primi in un attacco alla baionetta annientò con bombe a mano una baracca da dove partivano colpi di fucile.”
Quel modo di caricare di corsa, impressionò i bolscevichi e subito nella zona si parlò degli “italiani che si lanciano furiosi agli attacchi e combattono stando in piedi... “. Nello stesso villaggio si batterono anche i cechi che ebbero un Capitano ferito.
Una settimana durarono le manovre durante le quali ci fu solo un’altra scaramuccia nel villaggio di Karimova, perché i rossi, privi di artiglieria preferirono abbandonare la regione. Il comportamento della compagnia Fano, fu elogiata dal Comandate Fassini-Camossi e dal Magg. cecoslovacco Bejl. Il giornale ‘Siberia Libera’ di Krasnojarsk diede risalto all’azione ed il governo di Kolciak concesse al Capt. Fano l’onorificenza di 3° grado dell’Ordine di S .Anna.
In due altre occasioni gli italiani dovettero intervenire: una fu un spedizione punitiva contro un villaggio, incendiato, perche aveva dato informazioni per un presunto agguato al comandate Fassini-Camossi; l’altra fu un’esperienza ben più drammatica vissuta dai dodici uomini della pattuglia del Capt. Ferraris, aggregata ad una colonna russa che “... dovettero assistere alle più inumane vendette perpetrate dal crudele Col. Ròmerof... astenendosi da ogni eccesso e portando per bocca del loro capo, la voce dell’umanità”.
Ai primi di giugno si avvertirono casi di vaiolo e vennero praticate vaccinazioni in massa. A fine luglio scoppiò una rivolta fra i soldati russi che fu soffocata nel sangue dai loro comandi: si parlò da 300 a 700 fucilati nei giorni successivi.
La spedizione in Siberia di per sé fu un episodio bellico molto limitato con soli nove morti tra caduti e malati, ma i pochi fatti d'armi furono enfatizzati dagli organi ufficiali che non lesinarono entusiastiche approvazioni tanto che anche il ministro della Guerra, Caviglia, inviò un telegramma di compiacimento. Si capì però che, da come stavano andando le cose, quella missione non aveva più molto senso (sei mesi dopo le truppe di Kolciac saranno sopraffatte e l’Ammiraglio giustiziato) e quindi, in agosto, il Corpo di Spedizione venne richiamato.
Alla vigilia della partenza, il 7 agosto, ‘Siberia Libera’, riportò un articolo nel quale salutava, ringraziava ed elogiava il contingente italiano per l’appoggio morale e l’attività militare: “La Russia non dimenticherà mai il sangue versato dagli italiani nell'oscura tajga di Kransk. Ai nostri fedeli alleati auguriamo oggi con cuore sincero buon viaggio. Portino il saluto della fredda Siberia all'Italia solatia e raccontino in Europa quel che hanno visto da noi. L'esperienza della nostra patria infelice serva di ammonimento affinché non avvenga mai tra di loro quel ch’è avvenuto nel nostro paese”.
Partiti al 7 agosto, il 20 giunsero ad Harbin dove un’epidemia di colera faceva stage tra i cinesi. Arrivarono a Tientsin il 26 e il Capt. Fano, narra di come vennero accolti festosamente dalla colonia italiana e di aver potuto “... leggere la ‘Conaca Prealpina’ di luglio, uno dei tre giornali quotidiani che giungono dall’Italia, assieme al ‘Corriere della Sera’ e al ‘Sole’...”. Apprese così come fossero“...state assegnate la medaglia d’argento e quella di bronzo rispettivamente al sergente Maggiore Macchi, aviatore, ed al soldato Sonvico entrambi di Cuvio e che si sarebbe dovuto inaugurare la lapide in memoria dei caduti di guerra... Che avrebbe dovuto essere ripristinata la linea automobilistica Varese Cuvio (Canonica)”.
Dopo due settimane nella Concessione di Tiensin, fra la truppa, scoppiò il tifo che riempì gli ospedali causando un ventina di vittime, obbligando molti a una lunga quarantena.
A ciò si aggiunga la mancanza di navi per cui solo a partire dall’autunno inoltrato, poterono lasciare la Cina, a scaglioni, imbarcati su due piroscafi, fra cui uno giapponese, noleggiati dal governo italiano. Il Capt. Fano, assieme al Cellina di Cittiglio, ed ad un migliaio di soldati, fu imbarcato sul vapore ‘Nippon’, di proprietà della Lloid di Trieste, che salpò il 26 novembre da Cinwantao.
Viaggiava alla bassa media di 9 nodi orari, e dovette fare 7 scali tecnici (foci dello Yang-Tze-Kiang, Shangai, Hong Kong, Singapore, Colombo, Aden, Porto Said). A Shangai si sparse la voce, riportata dal ‘China Press’ che gli italiani avevano lasciato in Siberia un’ottantina di mogli russe. Probabilmente era vero, comunque i comandi italiani negarono e richiesero al giornale l’immediata smentita.
Sessantatre giorni durò il viaggio del ‘Nippon’, fra inconvenienti vari: un incidente con un vapore cinese, il caldo torrido che avariò parte del cibo, la rottura di un serbatoio d’acqua, una forte burrasca, finchè il 27 gennaio 1920 arrivò a Brindisi dove circa la metà degli uomini, sopratutto meridionali, vennero sbarcati.
Ripartiti il 30 gennaio, il 2 febbraio entrarono nel porto di Trieste. Sul molo una folla di parenti in attesa, nel silenzio totale. Qujando il vapore non attraccò, ci fu un grande urlo sia terra che in coperta. Erano ormai cinque anni che questi reduci mancavano da casa.
Le autorità invece non li accolsero con particolare trasporto. In Italia si stava infatti vivendo il cosiddetto «biennio rosso», due anni di disordini, scioperi e occupazioni di fabbriche da parte degli operai comunisti e socialisti esacerbati dalla disperata situazione economica e sociale postbellica; non certo il momento migliore per chi era andato fino in Siberia a combattere i Comunisti. Fra le cose curiose, assieme ai soldati arrivarono anche due orsi, regalo di autorità siberiane, i quali vennero inviati allo zoo di Roma.
Il secondo contingente, dopo quaranta giorni di mare, arrivò a Napoli il 2 aprile del 1920 imbarcato sulla carboniera giapponese ‘France Maru’. In sordina, venero stipati in un vagone ferroviario di III classe e indirizzati a Piacenza. A Follonica ebbero difficoltà a continuare perché la folla era convinta che fossero militari mandati a sedare le sommosse. Stessa accoglienza a Livorno dove ci volle l’intervento dei carabinieri per evitare uno scontro, perché i reduci dalle mostrine nere già avevano inastate le baionette.
Rimase in Russia invece il Capt Ferraris, già prima del conflitto professore di italiano a Mosca, dove aveva lasciato la moglie. Col fido attendente Vigilotti, la raggiunse dopo un viaggio avventuroso, alla Michele Stroghoff, rischiando la vita fra pericoli inenarrabili, scene spaventose di miseria e cataste di morti per tifo.
Il rimpatrio in sordina di questi soldati, ad un anno e mezzo dall’armistizio, non passò del tutto inosservato, qualche giornale ne aveva scritto, ma a una interrogazione parlamentare, il Governo Nitti chiuse ogni contestazione dichiarando falsamente che in Oriente non c’erano mai stati soldati italiani. L’anno dopo, però, furono attribuiti onori e riconoscimenti. Al nostro Capt. Emilio Fano, nel frattempo rieletto sindaco di Cuvio, nel settembre del 1921 per i fatti di Semenòfskoie fu decretata la Medaglia di Bronzo al V. M. Nel 1924 anche i cechi gli conferiranno la Croce al Valore.
Le gesta dei ‘Battaglioni Neri’ furono poi enfatizzate dal fascismo che ne mutò il nome in ‘Diavoli Neri’ più consono dalla retorica di partito e per un ventennio si celebrò il coraggio di questi volontari partiti per l’immensa Siberia a combattere i Rossi ed il comunismo e tenere alto l’onore italico, gratificazioni che attirarono parecchi di essi nelle Camicie Nere.
Poi, dopo la Liberazione, l’oblio, se non qualche saltuaria e non sempre precisa rievocazione giornalistica.
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ARTICOLI E GIORNALI
‘Cronaca Prealpina’ del 3 settembre 1918: Ad un valoroso partente
‘The China Press’ di Shanghai del 23 ott 1918
‘North China Star’ di Tientsin 1919 (articoli del 27, 29, 30 agosto – 16, 17, 20, 21 settembre – 24 ottobre – 25 novembre)
‘Il Piccolo di Trieste’ del 2 febbraio 1920: L’arrivo del piroscafo Nippon con i nostri volontari dall’Estremo Oriente
‘Il Piccolo della Sera di Trieste’ del 2 febbraio 1920: L’ansiosa attesa del Nippon
‘L’Era Nuova’ del 3 febbraio 1920: L’arrivo del Nippon con i volontari triestini
‘Il Piccolo della Sera di Trieste’ del 3 febbraio 1920: Elenco degli ufficiali e dei soldati rimpatriati
‘Cronaca Prealpina’ del 21 febbraio 1920: Coi soldati varesini in Siberia, le vicende di una spedizione in Estremo Oriente
‘Corriere della Sera’ del 22 febbraio 1920
‘Il Popolo d’Italia’ del 17 gennaio 1923: Un spedizione militare ignorata
‘Le Forze Armate’ del 1 marzo 1930: I soldati siciliani dall’Eritrea alla Siberia nel 1918-1920
‘Corriere della Sera’ del 24 aprile 1933: Un pugno di uomini che combattè in Siberia
‘Corriere della Sera’ del 11 luglio 1933: La storia del Battaglioni Neri
‘Le Forze Armate’ del 27 febbraio 1940: Soldati italiani e truppe bolsceviche in Estremo Oriente
‘Il Giornale’ del 6 e del 22 maggio 1979: Sessant’anni fa, una delle pagine piu’ singolari della nostra storia
[1] [Bazzani Gaetano: ‘Soldati italiani nella Russia in fiamme 1915-1920’ -Prefazione di Virginio Gayda- Trento s.d, (1933) Ed. Legione Trentina]
giorgio.roncari@virgilio.it
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