VAI COL LISCIO: QUANDO A CUVIO ARRIVARONO I CASADEI
di Giorgio Roncari
Erano
gli anni Settanta e l’Orchestra Spettacolo Casadei era nel massimo splendore;
era riuscita a riportate in auge il ballo liscio dopo la sbornia beat e shake
degli anni Sessanta. Con i suoi valzer, le sue polke e le sue mazurche
romagnole era stata capace di fare breccia nel muro della musica pop imperante
tanto da venire chiamata al Girofestival, a Sanremo, al Disco per l’Estate e
comparire spesso in televisione.
Si
trattava di un complesso romagnolo fondato prima della guerra da Secondo
Casadei che ebbe successo con brani scritti da lui, tra cui la celeberrima
“Romagna mia”, un omaggio alla sua terra diventato ben presto l’inno del
folklore nazionale, ma che col cambio generazionale aveva perduto lo smalto.
A
riportarla in auge era stato il nipote di Secondo, Raul, figlio di un fratello;
un successo così popolare da indurre gli organizzatori del Giro d'Italia del
1976 ad affidargli, addirittura, il compito di precedere la carovana dei
ciclisti e loro allestirono una nave montata sul telaio di un autotreno con la
quale procedevano “fluttuando” tra la folla, fra balli e musica dal vivo. La
sera, poi, dopo che la tappa si era conclusa, si esibivano nella piazza
d’arrivo e, sul palcoscenico, salivano anche artisti come Pippo Baudo, Loredana
Bertè, Mia Martini, Marcella Bella e Gino Bramieri.
I
Casadei erano tutti musicisti in gamba, funamboli del loro strumento, Raul,
oltre che chitarrista, cantante e showman, era anche un buon imprenditore, e
poi c’era Rita la cantante, brava, mora e bella, dalle generose mini, detta
perciò ‘coscia lunga’. Insomma era il momento in cui l’orchestra era contesa
fra le più belle piazze e le più grandi citta con cachet proibitivi.
Ebbene,
in quel momento magico ed inavvicinabile, ci fu chi ebbe l’incredibile idea di
portare i Casadei in un paesino della nostra valle e furono tre pazzi di Cuvio:
Enrico Finocchi, il Rico capogruppo dei Cacciatori del paese; Bruno Furigo presidente
della Pro Loco; e Giuseppe Massa, dinamico presidente del Circolo. Come i
moschettieri, c’era anche un quarto, forse il più determinante, Sandro Bai di
Gavirate, uno che di musica aveva sempre vissuto, dapprima come batterista
zingaro in varie band e poi come agente di spettacoli e fra gli artisti della
sua agenzia, anche l’Orchestra Spettacolo Casadei, anzi, a detta di chi ne
sapeva, era uno dei migliori agenti che quel complesso aveva sparsi per la
penisola.
Era
infatti stato il Bai a contattare il Rico, i due si conoscevano bene, e
proporgli l’avvenimento. Probabilmente si aspettava una risposta del tipo “hai
voglia di scherzare” ma invece la cosa, a Cuvio, fu presa sul serio e la
macchina dello spettacolo si mise in moto. Ora non potrei narrare i passi discussi
e le disposizioni concordate, so solo che fu trovata un’intesa nel quale il Bai
si incaricava della vendita dei biglietti tramite gente di sua fiducia e gli
organizzatori di Cuvio avrebbero garantito un minimo di introito. Se le cose
sarebbero andate bene ci avrebbero guadagnato entrambi, il Bai coi biglietti e
quei di Cuvio coi proventi di bar e cucina. Ma ci sarebbe dovuto essere proprio
tanta, ma tanta gente!
Il
comune, di suo, deliberò anche di consegnare, la sera della festa, una medaglia
a Raul, e un’altra a Renato Berti, patron della squadra ciclistica veterani
campione d’Italia e proprietario della sala da ballo omonima per il lustro che
entrambi davano al paese.
La
sagra si sarebbe tenuta al campo sportivo, allora gestito dalla Pro Cuvio,
mercoledì 13 luglio 1977, nel bel mezzo delle feste paesane della Madonna del
Carmine, e quando fu il tempo giusto cominciarono i lavori per attrezzare e
preparare il campo, e non furono pochi.
Vennero
impiantati i capannoni per il bar e le cucine, recuperati un certo numero di
frigo per le bevande e le cibarie, procurati tavoli e panchine, posizionate ben
due balere e, dinanzi, il palco per l’orchestra il quale altri non era che il
rimorchio di un tir noleggiato dai Dellea. Molti altri accorgimenti vennero
effettuati per non lasciare nulla al caso e si provvide a schermare la raminata
di cinta con lunghi scampoli di lenzuola. Salamini, patatine e costate
arrivarono a quintali, bibite, vino e birra a fiumi.
In
tutti c’era la convinzione che la manifestazione avrebbe avuto successo anche
in quel giorno di mezza settimana, sempre che non ci avesse messo lo zampino il
tempo. Bai seppe fare una pubblicità capillare, con cartelloni e volantini ogni
dove, annunci sui giornali e nelle prime radio private.
Si
arrivò così alla vigilia. Tutto era pronto, l’eccitazione era palpabile tra i
dirigenti, gli organizzatori, la gente del paese e gli appassionati di liscio.
Le ultime direttive riguardavano lo svolgimento della sfilata che avrebbe
dovuto accogliere l’orchestra alla Bofalora e accompagnarla al Campo sportivo
di Cuvio, tra musiche, balli e coriandoli, qualcosa che doveva ricordare una
parata all’americana.
Era
da giorni che venivano consultate le previsioni del tempo, quelle nazionali,
quelle del Gazzettino Padano che le diramava dal Campo dei Fiori, e quelle
Svizzere che, si sa, sono le più affidabili. Per la verità tutte quante non davano
molto bello anzi, prevedevano temporali ma la speranza è l’ultima a morire...
eppoi non sarebbe stata la prima volta che si sbagliavano.
Il
martedì passò fra gli ultimi accorgimenti e un cielo variabile che andava
sempre più rannuvolandosi. La sera il tempo ancora teneva, ma la notte le
cateratte si aprirono e venne giù il diluvio. Gli organizzatori preoccupati e
delusi si davano da fare per tamponare i guasti che la pioggia produceva. Al
mattino pioveva ancora, però annunciavano miglioramenti prima di sera e infatti
nel pomeriggio, il tanto agognato bel tempo arrivò. Dopo essersi divertito a
spaventare la gente il sole tornò a fare giudizio, a splendere forte tanto da
asciugare l’erba del campo. Il Rico, il Massa, il Furigo, il Bai, tutti
tirarono un grosso sospiro di sollievo. Si poteva cominciare la festa.
Alle
7,30 della serata tutti erano alla Bofalora ad attendere i Casadei. C’era la
Banda di Gavirate con tanto di majorettes ad aprire la parata, poi quella di
Cittiglio e quella di Cuvio al completo. Il chilometro di strada che saliva al
campo sportivo che già aveva visto gli arrivi della ‘Tre Valli’ di ciclismo,
era assiepato di gente entusiasta e impaziente e quando il complesso arrivò furono
urla e applausi e complimenti. Le bande cominciarono a suonare, il corteo si
mosse, le majorettes, ammiratissime anch’esse, presero a ballare e far
volteggiare i loro bastoni. Giunti al campo sportivo, prima che cominciassero
le danze, arrivò anche la fanfara dei bersaglieri sempre capace di eccitare gli
animi.
.
Fu
un’apoteosi, non si riuscì nemmeno a capire quanta gente ci fosse, le due
balere risultarono subito insufficienti per accogliere tutti i ballerini. Alle
casse e al bancone del bar c’erano sempre lunghe code. Regnava un’eccitazione
generale; una sorta di piacere infantile pervadeva tutti; ogni faccia che
incontravi era un sorriso; la gente si salutava con convenevoli, strette di
mano e grandi pacche come fra vecchi amici ritrovatisi. A metà serata vennero
premiati Raul e il Berti e poi, un corpo di ballo al seguito dell’orchestra
formato da ragazzi, si esibì in balli romagnoli.
Fra
tutti il più soddisfatto era il Sandro Bai, che a furia di brindare con l’uno,
con l’altro e con l’altro ancora, arrivò a fine serata tanto ubriaco da non
ricordarsi dove, perché e chi fosse.
Ancora
viene narrato l’episodio di quando, terminato lo spettacolo e radunatisi
orchestra e organizzatori per una spaghettata al Circolo, il Bai non c’era.
“Osti siam venuti su insieme dal campo” diceva il Massa. “Sarà al cesso”. Lo
cercarono ma non c’era, guardarono altrove ma pareva sparito. “L’avran mica
rapito coi soldi…”. Alla fine lo trovarono sdraiato in fondo alla scala della
cantina, al buio, dietro a una botte addormentato, con accanto il portafoglio
alto una spanna, ricolmo di bigliettoni, che gli era uscito di tasca. Era
caduto rotoloni senza accorgersi. Lo portarono su con un graffio al naso
tenendolo in piedi in due come Peppone nel film “Il compagno don Camillo” dopo
la sfida a bicchieri di vodka col tovarish russo.
Fu
un successone ricordato per molto tempo in paese, tanto che venne ripetuto
nell’85, anche se non fu più così brillante perché la fama dei Casadei stava
scemando, Raul non cantava più e pure Rita si era ritirata. Fu comunque sempre
una bella manifestazione che diede soddisfazione e guadagno così come fu una
bella serata anche quella con Wilma De Angelis dell’anno prima, anch’essa col
suo tornaconto.
Certo,
feste molto più fruttuose del Girofestival, gara canora itinerante per giovani organizzata
dalla RAI sul modello del Cantagiro che, proprio da Cuvio, aprì l’edizione del
1981. La produzione pubblicizzò l’evento a livello nazionale ma, agli
organizzatori, il materiale pubblicitario lo fecero pervenire, dopo ripetute richieste,
solo all’ultimo giorno quando oramai era tardi per poter fare qualsiasi réclame
in loco, e fu un fiasco.
Peccato perché in quell’occasione arrivarono come ospiti,
artisti del calibro di Califano, Mia Martini, la Schola Cantorum, Jo Squillo,
i Kim and Cadillacs, Jo Chiarello e Awana Gana come presentatore. Roba che non
si vedeva dai tempi delle Noci d’Oro a Duno e dei Pittori in Vacanza ad
Arcumeggia.
A far parte della giuria c’era anche gente presa un poco a caso tra
il pubblico, molti dei quali si erano stupiti di come avesse potuto vincere una
sconosciuta Tambara che pareva non avesse votato nessuno, destando il dubbio di
un verdetto preconfezionato.
Di quest'ultimo evento scrisse anche il quotidiano ‘La Stampa’, che, in un trafiletto, parlò,
probabilmente per dare risalto all’evento, di settemila spettatori ma non era
stato così e lo sapevano bene gli organizzatori di Cuvio costretti a fare i
conti con un grosso ammanco, e non fu certo un mezzo gaudio sapere che andò peggio
a quelli di Gavirate dove, la sera dopo, si tenne la seconda tappa con tanto di
costosi fuochi pirotecnici a pesare sul bilancio.
giorgio.roncari@virgilio.it
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